COMPLEMENTARI PER IL POWERLIFTING

Complementari nel Powerlifting

Indice dei Contenuti

A cura di Luigi Magli e Filippo d’Albero

 

Chiunque sia parte, anche da poco, del mondo dell’allenamento con i pesi ha certamente sentito parlare delle due grandi famiglie di esercizi: i fondamentali ed i complementari.

In questo articolo cercheremo di comprendere cosa si intende per esercizi complementari e come si possono utilizzare al fine di ricercare una crescita nella massa muscolare.

Personalmente condivido la distinzione degli esercizi in fondamentali e complementari poiché aiuta mentalmente a comprendere in maniera pratica la differenza che vi è tra i due.

Quando si parla di Powerlifting preferisco invece parlare di esercizi DA GARA, quindi specifici alla nostra disciplina, piuttosto che “fondamentali”.

Il concetto di fondamentale è funzione dell’obiettivo che ci siamo posti. Qualora l’obiettivo fosse l’armonia tra muscoli agonisti ed antagonisti, un curl per bicipiti ricoprirebbe la stessa importanza di una french press.

“Il concetto di FONDAMENTALE dipende dal nostro OBIETTIVO!”

Fatta questa precisazione, diamo una classificazione generale agli esercizi complementari così da chiarire i differenti ruoli che questi possono ricoprire.

Ci addentreremo solo successivamente al nocciolo di questo articolo, ottimizzare la crescita muscolare.

Adotteremo comunque la definizione di esercizio complementare pur non dimenticando quanto spiegato fino ad ora.

Di seguito schematizzo in maniera semplificata le tre tipologie di esercizi complementari con annesso gli obiettivi che questi si pongono.

 

COMPLEMENTARI ACCESSORI

COMPLEMENTARI

POSTURALI/COMPENSATORI

VARIANTI DEL GESTO DA GARA

supporto e costruzione muscolare.

prevenzione infortuni e/o riequilibrio tra i vari distretti muscolari.

 

Colpire in maniera specifica una porzione dell’alzata da competizione; miglioramento e/o apprendimento della tecnica esecutiva.

 

In questo articolo ci focalizzeremo per lo più sugli accessori, in quanto per ognuna di queste categorie si potrebbe scrivere un libro.

 

ESERCIZI COMPLEMENTARI: QUANTO VOLUME DEDICARGLI SE SIAMO DEI POWERLIFTER?

Dobbiamo tenere a mente che investire la maggior parte del nostro volume negli accessori potrebbe non essere la scelta migliore; la specificità ci invita ad eseguire maggiormente i movimenti da competizione.

Anche puntare unicamente a panca, squat e stacco può però risultare una scelta non ottimale.

Quanti esercizi dobbiamo quindi inserire in aggiunta alle nostre alzate da competizione?

Ogni coach di rilievo ha un approccio differente, se prendiamo in esempio il Phd Mike Israetel (ritenuto uno dei massimi esperti al mondo in quanto ad allenamento mirato all’ipertrofia muscolare) le sue direttive indicano di dedicare c.a. un 30% del volume complessivo di allenamento ad esercizi complementari.

Il quantitativo di lavoro complementare che un atleta dovrebbe fare è comunque funzione del suo obiettivo e delle sue carenze.

Non per tutti, gli esercizi di gara sono lo strumento più efficiente per la costruzione di massa muscolare, e non per tutti l’acquisizione di nuova massa muscolare ricopre lo stesso ruolo.

Vorrei sottoporvi due casi studio per stimolare un’analisi costruttiva del contesto:

  • Alteta 1: Ex Bodybuilder con un ottimo sviluppo muscolare in tutto il corpo, ben bilanciato e vicino al limite di categoria di peso. Anzianità di allenamento elevata;
  • Atleta 2: Powerlifter che non si è mai concentrato in modo specifico sulla costruzione di massa muscolare, estremamente efficiente e tecnico nelle alzate ma molto alto per la sua categoria di peso;

In questi due casi il ruolo del lavoro complementare sarà il medesimo? NO.

Nel caso dell’atleta 1 potremmo considerare lo sviluppo muscolare come prossimo al massimo potenziale genetico dell’atleta; l’apprendimento del gesto motorio e l’efficienza tecnica saranno la via più efficiente per incrementare le performance nel Powerlifting.

L’atleta 2, viceversa, potremmo considerarlo prossimo ad avere esaurito gli adattamenti motori e coordinativi; quelli muscolari invece saranno ancora lontani dal loro massimo. In questo caso il lavoro complementare e di ipertrofia generale ricoprirà la massima importanza.

Pur non violando il principio di specificità, è bene contestualizzare la dose di lavoro complementare in funzione dell’atleta, delle sue caratteristiche e del suo livello.

SERIE E RIPETIZIONI PER GLI ESERCIZI COMPLEMENTARI

Per valutare correttamente quanto lavoro complementare inserire all’interno delle nostre programmazioni è necessario tenere conto del lavoro primario che stiamo svolgendo.

Solo successivamente decideremo la quantità, in termini di volume, che i nostri esercizi complementari andranno ad occupare.

Se avete frequentato questo sito, e letto i precedenti articoli, avrete chiara l’importanza del volume al fine di costruire nuova massa muscolare.

Quando si parla di lavoro complementare preferisco conteggiare il volume a mezzo delle serie allenanti settimanali.

Rifacendoci nuovamente alle indicazioni del Phd Mike Israetel, possiamo considerare un volume di 8-10/12 serie allenanti come la minima dose efficace, mentre il massimo volume recuperabile si troverà tra le 15 e le 20 serie.

Starà dunque a noi valutare quante serie somministrare ai nostri atleti e, qualora risultasse necessario, andare ad aumentarle nel tempo.

Il mio consiglio è partire sempre da un numero di serie relativamente “basso” (10-12) ed aumentarle gradualmente nel corso dei blocchi quando il volume diviene insufficiente a generare nuovi adattamenti.

In coda ad ogni blocco di allenamento inseriremo uno scarico dove il volume accumulato vedrà un calo del 50% c.a.

Esistono differenti marker che ci indicano che stiamo ottenendo un adattamento positivo sotto il profilo ipertrofico:

  1. Miglioramento estetico del distretto muscolare a pari BF;
  2. Miglioramento delle circonferenze corporee a pari BF;
  3. Miglioramento delle prestazioni (in particolare in rep range medio alti) a parità di esecuzione;
  4. Se i vestiti calzano più stretti a parità di peso.

Sembra una lista di indicazioni banali ma è spesso difficile, se non si è principianti assoluti, avere un riscontro oggettivo e visibile di un incremento di massa muscolare se non dopo svariati mesi di lavoro.
Questi metodi possono permetterci di valutare in corso d’opera se la nostra pianificazione è adeguata.

Quando si leggono le indicazioni sul volume di allenamento da accumulare per singolo distretto muscolare è di fondamentale importanza considerare l’overlap tra gli esercizi.

Una panca piana non vedrà coinvolto unicamente il pettorale ma anche deltoide anteriore e tricipiti.
Allo stesso modo uno squat non stimolerà unicamente i quadricipiti ma anche gli estensori dell’anca, gluteo e grande adduttore in particolare.

Per questa ragione io consiglierei sempre di partire con una somministrazione di volume prossima al minimo volume efficace, e.g. 10 serie allenanti settimanali, per poi incrementare unicamente qualora questo volume non risultasse sufficiente.

Parlando di ripetizioni allenanti settimanali, linee guida ci suggeriscono una fascia compresa tra le 40 e le 70 reps allenanti per sessione, con frequenza di 2 o 3 allenamenti settimanali per gruppo muscolare.

Il mio consiglio è quello di iniziare da una frequenza di due sessioni settimanali di cui una ci vedrà accumulare volume da rep range medi ed una da rep range elevati.

In questo modo potremmo selezionare 2 esercizi, uno più adatto al sovraccarico progressivo ed uno di isolamento.

Facciamo l’esempio del bicipite brachiale:

  • Giorno 1: Curl Bilanciere EZ: 5 serie da 6 ripetizioni = 30 ripetizioni totali;
  • Giorno 2: Hammer curl su panca inclinata: 5 serie da 12 ripetizioni = 60 ripetizioni totali.

Il volume complessivo è volutamente inferiore alle direttive in quanto presenti anche movimenti di tirata che coinvolgono il bicipite.

TIME UNDER TENSION NEGLI ESERCIZI COMPLEMENTARI

Prima di parlare del tempo sotto tensione o TUT, vorrei fare un breve accenno al sistema anaerobico lattacido.

Capiremo più avanti il perché e come questo può avere una relazione con il tempo sotto tensione.

relazione tempo sotto tensione e attività sistema anaerobico lattacido
Con questo grafico vogliamo rappresentare il legame tra il tempo sotto tensione e l’attività del sistema anaerobico lattacido per mostrare la fascia di attività massima da ricercare nelle nostre esecuzioni

X: tempo in secondi

Y: percentuale di energia prodotta dal sistema anaerobico lattacido

Il sistema anaerobico lattacido è uno dei tre sistemi energetici che il nostro organismo utilizza per produrre energia.

È sfruttato prevalentemente per sforzi di durata compresa tra i 10 ed i 120 secondi con una resa massima tra i 15 ed i 50.

Nella fascia di tempo caratteristica del sistema anaerobico lattacido, durante i tipici esercizi in palestra, vengono utilizzate prevalentemente fibre del tipo 2. Si tratta di una tipologia di fibre intermedie a cavallo tra le fibre bianche veloci “pure” e quelle resistenti rosse, e presentano caratteristiche sia delle prime che delle seconde, avendo sia enzimi glicolitici che ossidativi.

Queste fibre permettono di eseguire contrazioni rapide, seppur meno rapide delle fibre bianche “pure”, per un tempo maggiore prima di essere affaticate e sono propense all’ipertrofia.

Dopo questo breve accenno veniamo ora al TUT.

Per TUT si intende il tempo sotto tensione che il muscolo sostiene sotto un carico x.

Ho visto troppo spesso in palestra un ABUSO del TUT piuttosto che un suo utilizzo

poiché fare contrazioni di 6/7 secondi in eccentrica ed altri 4 o 5 in concentrica durante una singola ripetizione faceva “bruciare”.

Come la filosofia insegna, i sensi ci forniscono solo uno stralcio della realtà, perciò non bisogna sempre basarsi su di essi ma andare oltre l’apparenza attraverso il logos (il pensiero) e mettersi sempre in discussione, poiché il dubbio e l’errore sono sempre possibili.

In uno studio intitolato “variations in repetition duration and repetition numbers influence muscular activation and blood lactate response in protocols equalized by TUT” del 2016 di Lucas Lacerda et al. è stato dimostrato come con lo stesso TUT, ma con differente configurazione, si producessero differenti responsi neuromuscolari e metabolici.

22 maschi con esperienza in campo di allenamento sono stati suddivisi per performare 2 differenti protocolli.

Entrambi hanno svolto 3 serie con 3 minuti di recupero al 60% eseguendo una panca piana alla Smith machine.

Il gruppo con protocollo A ha performato 6 ripetizioni della durata di 6 secondi ad ogni singola ripetizione.

Il gruppo con protocollo B ha performato 12 ripetizioni della durata di 3 secondi ad ogni singola ripetizione.

L’attivazione muscolare (misurata con elettromiografia) e la concentrazione di lattato (misurata durante e dopo 12 minuti dal completamento del protocollo) è stata superiore nel gruppo B.

Stando a quanto detto dagli autori, il protocollo a maggiori reps ha indotto una maggiore fatica e una maggiore domanda fisiologica durante l’esecuzione.

L’ampiezza maggiore del segnale EMG nel gruppo B è indice della necessità di aumentare il reclutamento delle unità motorie, un aspetto più influente rispetto al solo tempo sotto tensione per adattamenti di natura ipertrofica.

L’EMG normalizzato aumentato del protocollo B può essere dovuto alla maggiore generazione di forza di picco necessaria per accelerare il bilanciere. Questo avviene al prodursi di velocità di movimento più elevate e che richiedono un maggior reclutamento dell’unità motoria.

Questa richiesta di accelerazione potrebbe verificarsi all’inizio dell’azione muscolare concentrica.

Per quanto riguarda l’azione eccentrica EMG normalizzata, la maggiore risposta nel protocollo B può anche essere correlata al maggiore requisito per la produzione di forza durante la fase di frenata del movimento. Forza che probabilmente era maggiore durante le velocità di movimento più elevate.

In un altro studio intitolato “Muscle time under tension during resistance exercise stimulates differential muscle protein in sub fractional synthetic responses in men” del 2012, che ha manipolato unicamente la durata delle ripetizioni, si è dimostrato che all’incremento della durata corrisponde un maggiore responso elettromiografico.

In questo studio le ripetizioni erano tenute costanti e dunque, a parità di ripetizioni ma con maggiore tempo sotto tensione, l’EMG risulta essere più ampio.

A questo punto è chiaro come il TUT rivesta un ruolo di rilievo solo se contestualizzato assieme alle altre variabili di allenamento, in primis il volume se parliamo di ipertrofia.

Un’altra nota importante che riguarda il TUT è il suo utilizzo in base agli esercizi svolti.

Durante l’esecuzione di un qualsivoglia esercizio abbiamo 4 fasi del movimento:

– La fase eccentrica o negativa;

– La stretch position o fase di allungamento massimo (isometrica);

– La fase concentrica o positiva;

– La contrazione di picco, ovvero la contrazione in massimo accorciamento (isometrica).

Dobbiamo tener sempre conto della dinamica di un esercizio, delle forze in gioco e delle leve. Non è raro che la forza esercitata a livello muscolare in alcune fasi dell’alzata possa risultare quasi nulla.

Basti pensare alle alzate laterali dove in fase di allungamento massimo, essendo il peso perpendicolare al suolo ed in serie con il braccio di leva, il momento articolare da vincere risulterà pari a 0.

Sarebbe quindi inutile prolungare il tempo sotto tensione in questa porzione dell’alzata se la tensione risulta essere inesistente!

Abbiamo evidenziato alcuni concetti importanti:

  • Il meccanismo anaerobico lattacido ha una sua rilevanza negli esercizi con sovraccarichi volti ad aumentare la massa muscolare, poiché è principalmente questo a fornirci l’energia;
  • la fascia in cui la sua resa è ottimale va dai 15 ai 50 secondi;
  • il TUT ha una sua validità se accostato ad una corretta quantità di volume;
  • il volume è come sempre il driver primario dell’ipertrofia;
  • il TUT va gestito a seconda dell’esercizio eseguito.

Cerchiamo ora di comprendere come ottimizzare l’uso dei complementari avendo fatto nostre queste nozioni.

Precedentemente abbiamo parlato in linea generica del numero di ripetizioni. Vorrei ora proporre un metodo per poter calcolare il numero di ripetizioni tenendo in conto il tipo di metabolismo energetico utilizzato e il TUT.

Abbiamo detto che la resa massima del metabolismo anaerobico lattacido è tra i 15 e i 50 secondi, possiamo quindi calcolare il numero di ripetizioni per esercizio complementare accessorio suddividendo questa tempistica nelle varie fasi dell’alzata.

Facciamo un esempio.

Vogliamo eseguire un curl per bicipiti con cadenza controllata e costante.
Per mantenere il giusto tempo sotto tensione suddividiamo i 50s nel seguente modo:

  • 2s di fase eccentrica
  • 2s di fase concentrica
  • 1s di picco di contrazione

Questo con l’obiettivo di avere il giusto compromesso tra tempo esecutivo e carico.

Il tempo totale di esecuzione per singola ripetizione è di 5 secondi.

Abbiamo quindi la possibilità di eseguire fino a 10 ripetizioni con questa tempistica se vogliamo rientrare nella fascia anaerobica lattacida ottimale poiché:

 5secondi x 10 reps = 50 secondi totali.

P.S. Nulla vieta di spingerci qualche secondo più in là eseguendo serie della durata di 60 o 65 secondi. Non saranno una manciata di secondi in più a fare la differenza.

Potremmo sfruttare questa logica per applicare una progressione dello stimolo allenante tenendo in considerazione il tempo sotto tensione.
Se incrementiamo di settimana in settimana il numero di ripetizioni a pari cadenza esecutiva, sempre rimanendo nell’intorno della fascia di resa ottimale, imporremmo una progressione del volume con uno stimolo costante e coerente.
Una volta superata la fascia ottimale potremmo ridurre il numero di ripetizioni, incrementare il carico e ricominciare con la progressione.

Questo avrebbe il duplice beneficio di imporre continuità nel modo esecutivo dell’alzata, assicurandoci quindi che il progresso in performance arrivi effettivamente da un adattamento e non da una variazione della dinamica, e di avere incrementi di carico meno frequenti.
Nel caso degli esercizi accessori di muscolazione, in particolare quando parliamo di esercizi di isolamento, imporre un sovraccarico progressivo derivante unicamente dal peso utilizzato è spesso difficile ed improduttivo.

A seconda di quante reps potrò permettermi per distretto muscolare durante il mio workout, organizzerò la suddivisione del tempo per singola ripetizione in maniera tale da raggiungere il target di reps totali della seduta, tenendo sempre a mente il numero di serie da svolgere.

È consigliato, negli esercizi complementari volti all’ipertrofia, mantenere un’intensità di carico espressa in RPE compresa tra 7 e 9 raggiungendo, in alcuni casi, anche il 10.

Questa indicazione deriva dalle recenti evidenze scientifiche che hanno portato alla luce il concetto di “effective reps”, mostrando come la prossimità al cedimento determini in buona parte l’efficacia, nello stimolare l’ipertrofia, del volume accumulato.

Abbiamo dunque ottenuto un piccolo schema per programmare in maniera logica i complementari.

Le combinazioni sono innumerevoli, sarà discrezione del singolo selezionare i giusti parametri di:

  • TUT totale;
  • tempo della singola ripetizione;
  • intensità;
  • volume;

durante ogni blocco di allenamento.

Reputo dunque che, così come nei movimenti da competizione, anche negli esercizi complementari vada ricercata una periodizzazione.

Se siamo consapevoli di cosa facciamo, del perché e del come, possiamo essere in grado di intervenire in maniera corretta su un atleta per massimizzarne i miglioramenti.

La base per la crescita muscolare viene spesso identificata unicamente con la frase “più volume”.

Io ritengo che questo sia altamente riduttivo.

Se fossi obbligato a ridurre in una sola frase il “come fare a crescere” opterei per lo slogan più volume di qualità; dove “qualità” presuppone la consapevolezza di ciò che facciamo e la conoscenza delle variabili con cui stiamo lavorando, al fine di ottenere dei miglioramenti attraverso una progressione logica degli stimoli allenanti.

Possiamo pensare alla nostra programmazione come alla realizzazione di una scultura.
Se siamo consci degli strumenti a nostra disposizione, comprendiamo come utilizzarli e come incrementare la qualità del nostro lavoro nel tempo, rimarremo sorpresi dalle splendide opere d’arte che produrremo.

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BIBLIOGRAFIA

  • “Muscle time under tension during resistance exercise stimulates differential muscle protein in sub fractional synthetic responses in men” Burd A. et al., 2012
  • “variations in repetition duration and repetition numbers influence muscular activation and blood lactate response in protocols equalized by TUT”, Lucas Lacerda et al., 2016
  • Strenght and Conditioning for combat sports, Darren Yas Parr, the crowood press ldt, 2018
  • Manuale di Powerbuilding, d’Albero Filippo, 2020
  • Biochimica per le scienze motorie, Di Giulio A., Fiorilli A., Stefanelli C., Casa editrice Ambrosiana, 2011

 

 

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