Sticking Point: non sai davvero cos’è e te lo dimostro

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È sufficiente che tu abbia fatto qualche passo nel mondo del powerlifting per aver sentito nominare il famigerato sticking point, spesso accompagnato da consigli su come “lavorarci” o “rinforzarlo”. E se ti dicessi che la maggior parte dei coach di powerlifting non sa cosa sia davvero lo sticking point?

Nel powerlifting, la definizione di sticking point comunemente accettata è: “Il punto in cui, se portiamo l’esercizio a cedimento, falliamo l’alzata”. Questa definizione è stata perfino proposta in ambito accademico[1].

E nell’ambito della ricerca, invece? Kompf J. e Arandjelović O scrivono: “Nel contesto dell’allenamento contro resistenza il così chiamato “sticking point” è comunemente considerato come la posizione in un’alzata dove la difficoltà nel portare a termine il movimento aumenta in modo più che proporzionale”[1]. 

Tuttavia, occorre specificare che anche nel mondo accademico manca un accordo unanime circa la definizione di sticking point. Non solo: il dibattito è aperto anche quando si parla delle cause che lo determinano.

Oggi, però, voglio fare lo spavaldo. In questo articolo userò fisica, biomeccanica e fisiologia per provare a dare la spiegazione più completa e chiara possibile. Scoprire che cos’è davvero lo sticking point può rivelarsi molto utile per capire come (e se) dovremmo modificare il nostro allenamento di conseguenza.

Pronti?

Partiamo dalla fisica.

Fisica di base

Riesco quasi a vederlo il palestrato medio che dice: “Che palle la fisica, questi scienziati che vogliono parlare di allenamento… i muscoli si costruiscono in palestra!”. Peccato che, se si rimettesse il ca**o nelle mutande e aprisse le orecchie per qualche minuto, potrebbe imparare qualcosa anche lui. Qualcosa che lo aiuterebbe a migliorare di più e più in fretta. Se tu non vuoi fare il suo stesso errore, segui con attenzione quello che sto per spiegarti.

In tutte le definizioni di sticking point entra in gioco il concetto di velocità. Ma cos’è che determina la velocità a cui muoviamo il carico durante un’alzata?

Scomodiamo un attimo la cinematica. (Oh, si studia in prima superiore eh!)

Ipotizziamo che il nostro ROM (ovvero il “range di movimento”) rimanga costante nelle varie ripetizioni della serie e tra serie diverse. Questo, del resto, è il risultato che vogliamo ottenere: le esecuzioni devono infatti essere ripetibili e valide in gara. La velocità che raggiungeremo facendo l’esercizio dipende dall’accelerazione che imprimiamo al carico e quindi dalla forza che siamo in grado di trasmettere al bilanciere.

Che sorpresa, eh?

Ma aspetta, la parte interessante inizia ora!


Molte persone non hanno chiara in mente la relazione tra forza e accelerazione. Per capire davvero ciò di cui stiamo parlando, dobbiamo comprendere perché rallentiamo. Per capire perché rallentiamo, dobbiamo capire cosa significa rallentare.

Se rallentiamo significa che la forza che imprimiamo al bilanciere è minore della forza con cui il bilanciere ci schiaccia verso il basso.

Chi ha studiato fisica penserà: “E grazie al ca**o, Fillo!”

Però non tutti hanno studiato fisica, e sono sicuro che questo concetto non è così chiaro per tutti. Siccome è importante che lo sia, dedichiamogli un attimo di tempo. 

Abbiamo detto che la forza del carico è superiore alla nostra. Ma allora com’è possibile che il bilanciere si stia ancora sollevando? Succede perché la forza è uguale a massa per accelerazione, non massa per velocità! Perciò, poiché il carico è in movimento, prima di invertire il suo moto deve rallentare fino a raggiungere velocità zero.

Voglio provare a spiegartelo anche dal punto di vista matematico.

Disclaimer: si tratta di un esempio ipersemplificato, perciò se sei un esperto salta il paragrafo senza leggere, per piacere.

Quando un oggetto dotato di massa si muove a una certa velocità, si dice che ha una certa “quantità di moto” (cioè quella cosa che molti chiamano erroneamente “inerzia”). È ciò che permette al bilanciere di continuare a salire anche se, in quel momento, non siamo forti abbastanza da concludere l’alzata. Avete presente quelli che rimbalzano in panca? Ecco: è proprio la quantità di moto che permette loro di sollevare molti più kg di quelli che sarebbero in grado di gestire senza rimbalzo. Il rimbalzo, infatti, aggiunge la velocità necessaria a superare meglio o bypassare del tutto lo sticking point.


Quindi, se la velocità non arriva a zero, riusciremo a concludere l’alzata. Altrimenti no. Ovviamente è più probabile che accada se la velocità da cui partiamo quando iniziamo a rallentare è sufficientemente alta.

E qui arriviamo ai consigli sbagliati che spesso, ahimè, si sentono dare in palestra. Molti personal trainer suggeriscono di non esasperare l’accelerazione nella prima porzione dell’alzata per cercare di superare lo sticking point grazie alla velocità, e di salire piuttosto con un’accelerazione graduale per “trovarsi nella posizione giusta”. Per quanto trovarsi nella posizione giusta sia importante (ne parleremo più avanti), non accelerare nella prima porzione del movimento è l’esatto contrario di quello che si deve consigliare a un atleta.

Un altro errore molto diffuso è concentrarsi sul punto in cui falliamo l’alzata. E se ora ti stai chiedendo su cos’altro diavolo dovresti concentrarti, lo capisco perfettamente. Il fatto, però, è che il punto in cui falliamo l’alzata non è quello in cui siamo più deboli!

Sei stranito? È normale.

Andiamo più a fondo in questa faccenda. 

Il punto in cui falliamo l’alzata (se escludiamo salti di carico insensati che ci fanno schiantare a terra) ci vede combattere contro il peso stando fermi per qualche istante prima di soccombere e, si spera, venire salvati dal nostro spotter.


Concentriamoci sulla parola “fermi”. 

Siamo fermi per qualche istante. Questo significa che la forza che imprimiamo al bilanciere è la stessa con cui lui ci schiaccia. Se prima stavamo rallentando (cioè la forza peso stava vincendo) e ora non lo facciamo più, significa che la nostra capacità di esprimere forza è aumentata.

Provo a fartelo vedere con un disegno.

Pronto per un po’ di orrido matematichese? Tieniti forte.

Sappiamo che l’accelerazione è pari alla pendenza della retta tangente del grafico della velocità.

Proviamo ora ad applicare lo stesso ragionamento al grafico della velocità durante uno squat[3]:

Ed ecco ciò che dicevo poco fa: il punto in cui siamo più deboli si colloca molto prima rispetto al punto in cui falliamo l’alzata.

Cosa significa? Che rinforzare il punto in cui falliamo… non ha senso! Non è quel punto il motivo del fallimento, ma quello in cui iniziamo a perdere velocità a un ritmo molto sostenuto.

Ma avere uno sticking point vuol dire che c’è un problema nella nostra esecuzione e/o che abbiamo un anello debole su cui lavorare? Dipende…

Biomeccanica e fisiologia

“Fillo, ma mi avevi promesso basta scienza…”.

Un attimo, un attimo, ho quasi finito.


Per capire se lo sticking point è un qualcosa che dobbiamo “curare” o anche solo di cui dobbiamo preoccuparci è bene capire perché esiste.

La letteratura non dà una risposta chiara. Onestamente, però,un’idea me l’ero già fatta prima di cercare su PubMed: e mi sorprende come diversi ricercatori abbiano tentato di rispondere alla domanda senza uscire dal proprio ambito di competenza, senza cercare una visione più olistica (termine che odio perché è associato alle erbette curative, ma penso che in questo contesto sia quello più adatto).

Fortunatamente Kompf e Arandjelović, che ho citato all’inizio dell’articolo, concordano con me e suggeriscono che la risposta sia multidisciplinare.

E allora, visto che siamo i Nerd della forza, proviamo a darla noi!

Riprendiamo il grafico della velocità nell’esecuzione di uno squat in un powerlifter di livello mondiale [3], ma questa volta nel grafico aggiungiamo anche lo Sforzo Muscolare Relativo (SMR) [4] che i nostri muscoli devono vincere per portare a termine l’alzata. L’SMR indica che percentuale della forza massima di un muscolo stiamo usando durante un certo movimento. In parole povere, ci dice quanto siamo vicini al limite di quello che possiamo fare. Noteremo come il punto in cui deceleriamo è anche il punto in cui ci è richiesto uno sforzo vicino al massimo che i nostri muscoli possono sostenere.

Questo ci suggerisce una prima risposta: l’alzata, anche se eseguita perfettamente, avrà sempre un punto in cui è più difficile. Spingendoci al limite, questo punto sarà NECESSARIAMENTE quello in cui faremo più fatica, rallenteremo di più e falliremo l’alzata. Ma allora perché all’inizio del grafico la velocità del bilanciere incrementa così tanto? Perché sfruttiamo la risposta elastica dei nostri muscoli e/o il rimbalzo, che ci aiutano a imporre al bilanciere la quantità di moto di cui parlavamo prima, quantità di moto che ci sarà utile nel momento in cui inizieremo a rallentare. Questa risposta, però, da sola non basta. Perciò, ora introduciamo un concetto di fisiologia muscolare molto importante: la relazione tensione-lunghezza di un muscolo:

Ed ecco che la cosa si fa più interessante. 

Nelle alzate del powerlifting, la porzione bassa del movimento, soprattutto se lo facciamo con rom completo, avviene in una posizione di forte allungamento. Possiamo quindi assumere che in questa fase abbiamo una risposta elastica elevata, e che questa risposta elastica ci aiuti ad accelerare il carico nella prima parte dell’esecuzione.

Dobbiamo però ricordarci di un dettaglio importante. È vero che in questa posizione siamo in grado di esprimere moltissima forza, ma questa forza deriva quasi solo da una componente di tensione passiva (siccome il muscolo è molto allungato, c’è poca sovrapposizione tra ponti actina e miosina e perciò ha poca capacità di esprimere forza contrattile). 

Poco dopo questa prima fase, raggiungiamo la posizione biomeccanicamente più svantaggiosa. In questa posizione ci troviamo probabilmente nella conca della curva: ciò significa che sia la forza attiva che quella passiva sono limitate. Questo rende l’azione dei nostri muscoli meno efficace. Insomma: è un gatto che si morde la coda.

Un altro aspetto da considerare è la fatica – sia quella che accumuliamo tra una serie e l’altra, sia quella che accumuliamo all’interno di una stessa serie. La fatica, infatti, può causare la presenza dello sticking point. La ragione è che riduce la capacità delle unità motorie di coordinarsi e produrre forza: insomma, riduce la nostra capacità di accelerare il bilanciere. Inoltre, la fatica può anche spostare lo sticking point. Ma in che senso?

Studi come Król et al. 2017 ci dicono che l’attivazione del muscolo prime mover di un’alzata e dei suoi sinergisti cambia al variare della percentuale del carico utilizzata e della prossimità al cedimento. Stando a quanto riporta la letteratura, il prime mover si attiva già del tutto a percentuali moderate e RPE bassi; l’attività dei sinergisti, invece, aumenta a percentuali e prossimità al cedimento maggiori.

Cosa significa? Che, soprattutto per serie ad alte ripetizioni, potremmo aspettarci che la fatica locale (cioè muscolare) si accumuli a ritmi diversi tra i vari muscoli coinvolti nell’alzata. Questo potrebbe modificare la dinamica e spostare lo sticking point.

La dinamica dell’alzata è modificata anche dal carico assoluto, che sposta il centro di massa del sistema corpo-bilanciere. Dunque, possiamo aspettarci che questo punto varierà nel tempo, man mano che l’atleta accumula esperienza.

Infine, le leve di un atleta influenzano la porzione del ROM che in cui si registrerà la decelerazione maggiore.

Come evidenziano i ricercatori, la presenza e la posizione dello sticking point è influenzata da moltissimi fattori, alcuni dei quali totalmente fuori dal nostro controllo. Inoltre, lo sticking point risulta essere presente in tutti gli atleti, indipendentemente dalla qualità delle loro esecuzioni. Ed è impossibile da rimuovere.

In conclusione, possiamo dire senza dubbio che l’ossessione per il “rinforzo dello sticking point” non ha senso.

Quello che dobbiamo fare è rinforzare i muscoli coinvolti nell’alzata e diventare più forti in generale. Questo aumenterà il carico minimo a cui si presenterà lo sticking point e quello massimo che siamo in grado di muovere. Però no: non cancellerà lo sticking point.

Al Nerd Training Center, facciamo grande attenzione ad analizzare nel dettaglio la dinamica esecutiva dei nostri clienti. In questo modo, possiamo usare lo sticking point per guidare la programmazione dell’allenamento.

Programmazione 

Per prima cosa, osserviamo la posizione dello sticking point e la confrontiamo con la dinamica dell’alzata e le leve dell’atleta. In questo modo, lo sticking point diventa un indicatore di quale potrebbe essere il compenso esecutivo o l’anello debole dell’alzata.

Ricordiamo ciò che abbiamo detto: che ci sia uno sticking point non vuol dire che ci sia per forza un difetto esecutivo o una carenza su cui lavorare. Tuttavia, la presenza di uno sticking point in un punto insolito o non conforme rispetto a ciò che abbiamo visto potrebbe darci molte informazioni utili.

Ovviamente, per spiegare le informazioni che ci danno i diversi possibili sticking point nei diversi esercizi servirebbe un libro intero… e infatti l’ho scritto, si chiama “Powerbuilding. Biomeccanica, varianti, accessori” e puoi acquistarlo qui. 

Tuttavia, per ringraziarvi di essere arrivati fin qui, posso dirvi dove dovrebbe trovarsi lo sticking point in ciascuna alzata principale. 

Squat. Nel passaggio dal parallelo. Solitamente si inizia a perdere velocità poco prima del parallelo e si continua a perdere fino a circa 60° di flessione del ginocchio.

Panca. La posizione dello sticking point dipende molto dall’arco. Negli archi estremi abbiamo frequentemente la partenza dal petto come punto più debole, mentre nei setup più “normali” lo sticking point si sposta più in alto, di solito al passaggio dei gomiti dal parallelo.

Stacco. In uno stacco canonico fatto bene lo sticking point si trova al pavimento, mentre negli stacchi più chiusi si sposta sopra il ginocchio.

Quindi, qual è il take home message di questo articolo?

Che non devi stressarti troppo per il tuo sticking point.

Se hai uno sticking point strano puoi usarlo quando strutturi la tua programmazione. Tuttavia, tieni bene a mente che non devi lavorare su quel punto preciso, ma su quello che accade prima. Per esempio, mantieni un buon posizionamento, sì, ma non passare lentamente dallo sticking point… non ne usciresti! 

Bibliografia

[1] Kompf J, Arandjelović O. Understanding and Overcoming the Sticking Point in Resistance Exercise. Sports Med. 2016 Jun;46(6):751-62. doi: 10.1007/s40279-015-0460-2. PMID: 26758462; PMCID: PMC4887540. 

[2] Król H, Gołaś A. Effect of Barbell Weight on the Structure of the Flat Bench Press. J Strength Cond Res. 2017 May;31(5):1321-1337. doi: 10.1519/JSC.0000000000001816. PMID: 28415066; PMCID: PMC5400411.

[3] McLaughlin, T & Dillman, C & Lardner, T.. (1977). A kinematic model of performance in the parallel squat by champion powerlifers. Medicine and science in sports. 9. 128-33. 

[4] Bryanton MA, Carey JP, Kennedy MD, Chiu LZ. Quadriceps effort during squat exercise depends on hip extensor muscle strategy. Sports Biomech. 2015 Mar;14(1):122-38. doi: 10.1080/14763141.2015.1024716. Epub 2015 Apr 21. PMID: 25895990.

[5] Bryanton MA, Kennedy MD, Carey JP, Chiu LZ. Effect of squat depth and barbell load on relative muscular effort in squatting. J Strength Cond Res. 2012 Oct;26(10):2820-8. doi: 10.1519/JSC.0b013e31826791a7. PMID: 22797000.

[6] https://www.strongerbyscience.com/how-to-squat/

[7] https://www.strongerbyscience.com/research-spotlight-muscle-activation/

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Filippo d'Albero

La mia passione per lo sport nasce da bambino: all’età di 4 anni ho iniziato a praticare Karate e, da quel momento in poi, l’amore per le arti marziali e gli sport da combattimento non è mai scemato, culminando in una breve carriera professionistica nelle MMA. Dopo essermi laureato in Ingegneria dell’Automazione ho continuato a studiare e frequentare palestre, fino a scegliere di abbandonare la carriera di ingegnere per dedicarmi al 100% al mio progetto più importante: il Nerd Training Center. Nel corso di questi anni il Nerd Training Center ci ha portato a coltivare atleti di caratura nazionale ed internazionale, produrre attrezzatura per l’allenamento della forza ed essere ospitati in tutta Italia per trasmettere il nostro metodo e le nostre conoscenze.

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